“Crisi di coscienza”in Floriterapia: aspetti teorici e gestione di una “buona occasione” (M.Iannelli *)
"Abbiamo accumulato tante ferite e se
non ne siamo consapevoli tutte le nostre
azioni diventano reazioni a quelle ferite.
Nella conoscenza di sé c’è la fine del dolore
e , quindi, l’inizio della saggezza."
J. Krishnamurti
INTRODUZIONE
L’obiettivo finale di chi opera nel campo della salute è quello di aiutare il paziente ad intraprendere e portare avanti un percorso che lo conduca, sostanzialmente, a migliorare la propria qualità di vita. Tale percorso, come vedremo, per essere realmente fruttuoso, deve determinare necessariamente una maggiore conoscenza, consapevolezza e coscienza di sé. I rimedi floreali di Bach si sono ormai indiscutibilmente dimostrati, in forma diluita, ottimi attivatori, promotori e propulsori di tale percorso. Coscienza, conoscenza e consapevolezza di sé sono, quindi, la "conditio sine qua non" del cambiamento, il cui percorso passa attraverso momenti critici. In Floriterapia diBach si parla di "crisi di coscienza"; tale concetto, che verrà esaminato dettagliatamente, è costituito da un insieme di fenomeni che, date le loro caratteristiche temporali, quantitative e di significatività, sono una delle maggiori evidenze e testimonianze della profonda azione dei rimedi floreali di Bach in forma diluita. Possiamo affermare fin da ora che la "crisi di coscienza" non ha nulla a che vedere con il fenomeno dell’"effetto collaterale" ma è, al contrario, avvicinabile ad eventi che si osservano in altre metodiche terapeutiche biologiche ed olistiche: l’"aggravamento" in omeopatia, la "vicariazione regressiva" in omotossicologia, la "crisi di eliminazione" in digiuno-terapia (Fig. 1).
DESCRIZIONE FENOMENOLOGICA DELLA CRISI DI COSCIENZA IN FLORITERAPIA
La maggior parte dei floriterapeuti hanno osservato (e alcuni descritto) fenomeni che si inquadrano nel concetto di "crisi di coscienza". Un aspetto essenziale è rappresentato dall’accentuazione ed intensificazione di stati emozionali negativi. Il soggetto può, ad esempio, sentire e manifestare rabbia, irritazione o sensazioni di frustrazione, paura ecc.. Possono riemergere ricordi del passato con contenuti emotivi e cognitivi negativi. Produzione e ricordo di sogni penosi, (incubi) possono aumentare. In alcuni casi sono descritte anche reazioni molto simili a quelle che si presentano in omotossicologia: starnuti, eruzioni cutanee, diarrea ecc., ma la "crisi di coscienza", propriamente detta, è un qualcosa di molto più complesso di quanto descritto, in quanto costituisce sia il punto di arrivo di un percorso effettuato che il punto di partenza per nuove conquiste. Esamineremo, dettagliatamente l’argomento in esame, a partire proprio dal concetto di crisi.CRISI: ROTTURA DI UN EQUILIBRIO, SVOLTA, BUONA OCCASIONE DI CAMBIAMENTO EVOLUTIVO
La parola crisi, derivante dal greco "krisis" indica un processo di svolta, di mutamento, di rottura che avviene in tempi brevi, con intensità e con conseguenze positive o negative. Un ulteriore ed utilissimo apporto per la comprensione del concetto di crisi ci viene dalla lingua cinese. Il pittogramma cinese Weiji che indica l’idea di crisi è composto da due ideogrammi: in uno, Wei xian, è sottolineato l’aspetto di pericolo, nell’altro, Jihui, è indicato il concetto di opportunità e di buona occasione. Il pittogramma ci indica, quindi, le due principali connotazioni e possibilità di una situazione di crisi: da una parte l’aspetto di disagio e di sofferenza, ma soprattutto quello del pericolo di uno sbocco negativo, dall’altra l’aspetto di crisi come buona occasione di evoluzione e di cambiamento, da non lasciarsi sfuggire (Fig. 2).Dopo una crisi nulla rimane immutato: una sua cattiva gestione farà imboccare al sistema una china pericolosa, che lo porterà, quanto meno, ad un livello qualitativamente più basso rispetto al periodo precedente; oppure, la crisi sarà gestita bene e ciò porterà il sistema ad intraprendere una via evolutiva, che lo condurrà ad un livello qualitativamente superiore. La crisi può essere perciò considerata un passaggio fisiologico indispensabile per la crescita evolutiva di un sistema, ma anche un passaggio fondamentale nell’ambito di un percorso terapeutico il cui obbiettivo è l’agevolazione del superamento di un equilibrio instabile, precario, limitante, disfunzionale e non quello di una irrealistica ed illogica "restitutio ad integrum".
Quanto detto è valido non solo per il sistema uomo, ma anche per macro-sistemi sociali. economici, ecc. Può essere utile, a titolo esemplificativo, accennare a quello che è successo in Svizzera.
La Svizzera, negli anni Cinquanta, produceva l’ottanta per cento degli orologi venduti nel mondo. Questa supremazia, che era uno dei fiori all’occhiello dell’intera Confederazione, cominciò ad essere minacciata all’inizio degli anni ’60. Fu l’inizio di una crisi drammatica e velocissima, che ridusse la quota di mercato degli orologi svizzeri al 10%. Ciò ebbe, ovviamente, ripercussioni negative non solo sul livello economico della popolazione direttamente interessata, ma anche sull’intero sistema "Svizzera". Tale crisi era motivata dal fatto che le industrie americane e dell’est asiatico (soprattutto giapponesi), cominciarono a produrre orologi con tecnologie innovative e a costi più ridotti.
Esse adottarono, inoltre, strategie di mercato vincenti, utilizzando al meglio un contesto amministrativo pubblico, finanziario e scientifico che, per la sua qualità, fu a sua volta propulsivo. Quindi buone leggi, servizi pubblici efficienti, una ricerca scientifica avanzata e disponibilità di risorse finanziarie favorirono enormemente gli sforzi nello specifico settore degli orologi, creando una sinergia eccezionale. La Svizzera entrò allora in una situazione decisamente "pericolosa", poiché la crisi del settore ebbe ripercussioni a catena su tutto il sistema. Dopo anni di dominio incontrastato, dovuto alla mancanza di competizione, gli orologiai svizzeri si trovarono di fronte ad un bivio: accettare una sconfitta definitiva, con ripercussioni decisamente negative su tutto il sistema, o abbandonare un atteggiamento prudente, conservatore e rigido ed una visuale limitata, dando nuovo impulso alla produttività. Essi e l’intera Svizzera sì "rimboccarono le maniche" trasformando questa crisi "pericolosa" in una buona occasione di rinascita e di crescita.
Seguendo questa seconda strada gli svizzeri uscirono dalla stagnazione e dalla crisi sviluppando la ricerca, adeguando l’intera amministrazione pubblica ed il sistema finanziario, creando, così, un contesto più favorevole non solo per l’industria degli orologi ma per l’intero sistema. Le industrie mutarono le strategie di mercato e cominciarono a produrre da una parte orologi di altissimo prestigio e valore e dall’altra orologi a basso prezzo che assumevano il significato di accessorio dell’abbigliamento. Ciò non solo ebbe come conseguenza positiva una riappropriazione di consistenti quote di mercato dell’industria orologiaia ma anche il miglioramento delle infrastrutture, di cui si giovò l’intera società. La vicenda degli orologi svizzeri è la dimostrazione concreta del concetto cinese di crisi. Una controprova è data da un’altra vicenda, che mostra l’altra faccia della medaglia.
L’Argentina, prima e durante la seconda guerra mondiale, era una delle più grandi potenze economiche; a fronte di un cambiamento del mercato della carne, il sistema Argentina entrò in crisi. La crisi non fu compresa, non attivò una reazione positiva e, quindi, il Paese entrò in una deriva sociale ed economica ancora pesantemente in atto.
CONOSCENZA, CONSAPEVOLEZZA E COSCIENZA: ELEMENTI E FASI DI UN PROCESSO DI AUTOCOSCIENZA
Per una migliore comprensione dell’argomento trattato, ritengo utile fare chiarezza sui concetti di conoscenza, coscienza e consapevolezza. La parola conoscenza deriva dal latino "nosco" che vuol dire "apprendo" e che deriva, a sua volta, dalla radice sanscrita "jna" che significa "indicare"; quindi il concetto di conoscenza si riferisce in buona sostanza ad una capacità cognitiva e cioè alla possibilità di apprendere un qualcosa che è indicato, proposto e notificato alla mente. La parola coscienza, propriamente detta, deriva dal latino "scire" e da parole sanscrite che hanno il senso di "discernere" e "discriminare l’uno dall’altro". Quindi, grazie alla capacità di conoscere, l’oggetto si porge alla mente e si pone in essa: la mente, a sua volta, illumina l’oggetto conosciuto discriminandolo e stabilendone l’identità. Consapevolezza, infine, deriva dal latino "sàpere" che con valore intransitivo vuol dire "avere sapore" e con valore transitivo assume il significato di "assaporare". L’io, nel processo di consapevolezza, prende coscienza della partecipazione della totalità uomo all’operazione di discriminazione e di comprensione dell’oggetto conosciuto, per cui indica l’integrazione e l’unificazione di tutte le potenzialità psicofisiche umane investite dal processo coscienziale (Fig. 3).
A questo punto è evidente che tale processo si articola nella "conoscenza", che ci notifica l’esistenza dell’oggetto; nella "coscienza propriamente detta" che ci discrimina l’identità dell’oggetto; nella "consapevolezza" che ci dà il possesso definitivo, saporoso, vivo e globale dell’oggetto. Autocoscienza ed autoconsapevolezza sono percezione, conoscenza (connotazione), presa di coscienza (discriminazione), consapevolezza (assaporare) che qualcosa è connotato, discriminato, significato, assaporato da noi stessi e in noi stessi (Fig. 4). Autocoscienza e autoconsapevolezza sono capacità tipicamente umane che hanno conseguenze eccezionali, non ultima la capacità di identificarsi e di empatizzare.
GENESI DELL'AUTOCOSCIENZA NEL SISTEMA UOMO
La nascita è il momento zero dello sviluppo dell’uomo e della sua autocoscienza. Alla nascita, l’uomo è sostanzialmente definibile come un organismo già caratterizzato dalla specie di appartenenza, dal patrimonio ereditario e dalla sua specifica costituzione. Esso comincia immediatamente un processo di individualizzazione, entrando attivamente in relazione con l’ambiente. Possiamo ipotizzare che al momento zero non esista l’io–soggetto, ma solo bisogni e fusione con l’oggetto d’amore. Sin dalla nascita, il soggetto evolve grazie ad una serie di esperienze, che hanno per oggetto il corpo. Verso il settimo mese ci troviamo già di fronte ad un sistema dotato di senso della unitarietà, di capacità di percezione di confini, di affettività e di senso del tempo. Il bambino continua a "svilupparsi" attraverso esperienze basate su condivisione, intesa e sintonizzazione con i punti di riferimento fondamentali (Fig. 5).Possiamo affermare che la maturazione dell’Io–soggetto non sia basata su una sorta di innatismo, non sia il risultato passivo di stimoli provenienti dall’ambiente esterno o provenienti da pulsioni interne ma si attui progressivamente attraverso un’esperienza relazionale, dialettica, che dà luogo a strutture definibili come "modalità" acquisite, stabili ed estensibili ai più diversi campi. Potremmo già definire l’Io–soggetto come un insieme organizzato di strutture (Fig. 6).
In questa fase si concretizza quella che definiamo la coscienza diretta: essa è sostanzialmente una coscienza che implica la possibilità di cogliere gli aspetti oggettuali del corpo, degli oggetti, delle azioni e delle sensazioni- emozioni. La coscienza diretta è, quindi, semplicemente percezione e conoscenza. È tra i quindici ed i diciotto mesi che si viene a formare un aspetto importantissimo del soggetto, cioè l’identità, attraverso il progressivo emergere della coscienza riflessa o autocoscienza.
Questo tipo di coscienza, come abbiamo già in parte visto, è coscienza di essere coscienza, sapere di sapere, è riflessività introspettiva, è capacità di appropriarsi delle proprie azioni, di riconoscerle, è capacità di attribuire significati soggettivi. L’autocoscienza è capacità di avere coscienza dell’oggetto, coscienza del soggetto e coscienza dei legami dati dai significati soggettuali che collegano oggetto e soggetto. Tramite l’autocoscienza siamo in grado di separare il fatto oggettivo dal significato soggettuale che esso assume per noi.
Il soggetto è un sistema aperto in grado di autoorganizzarsi, dal momento in cui è autocosciente, che attinge significati da sé stesso e dal suo esperire. Questo passaggio critico intorno ai quindici – diciotto mesi può essere chiarito molto bene con un esempio: un bambino che viene accarezzato amorevolmente dalla madre attribuisce a questa azione, grazie alla coscienza diretta, un significato oggettivo di piacevolezza, ma nel momento in cui all’età di 15-18 mesi emerge l’autocoscienza, a ciò che precedentemente era rappresentato da una semplice piacevolezza, attribuisce il significato di "essere amato", in quanto la coscienza riflessa dà un significato soggettivo al legame esistente tra se stesso come oggetto delle carezze e la madre come soggetto che accarezza. Quindi, l’attuarsi dell'autocoscienza porta come conseguenza all’identità: si comincia ad avere la capacità di cogliere la propria immagine riflessa e ciò ha un potere identificatorio; ciò è seguito da un secondo importantissimo stadio che è quello dell’appropriazione stabile della propria immagine mediante conferma, convalida e riconoscimento da parte dell’oggetto significativo esterno.
GENESI DELLA PATOLOGIA: ATTIVAZIONE DELLE DIFESE E FUGA NELL'INCONSCIO
Quando il processo evolutivo del bambino si svolge in un clima "emotivo" sufficientemente buono, caratterizzato cioè da relazioni basate su condivisione, intesa, sintonizzazione e riconoscimento di identità, se, in altri termini, si è creato un clima "emotivo" in cui è presente empatia, accettazione, rispetto, coerenza di messaggi ed, in ultima analisi, amore, ci saranno ottime probabilità che il soggetto possa entrare in un buon processo dialettico con se stesso e con i referenti esterni; ciò sarà foriero di ottime possibilità evolutive, che si sostanzieranno con uno stato di benessere (Fig. 7). Al contrario, se tutto ciò non avviene o avviene solo parzialmente, il soggetto sarà costretto a mettere in atto, a partire da quelle che sono le sue ferite, una serie di adattamenti e reazioni inconsce. Si struttura, così, quello che possiamo definire "l’inconscio dinamico", in antitesi all’autocoscienza. I contenuti di questo "inconscio dinamico" sono costituiti da quegli aspetti giudicati inconciliabili e incompatibili con l’immagine che il soggetto sceglie di avere di se stesso a livello autocosciente, da un’identità, ma anche, e soprattutto, da quell’insieme variegato e complesso di tattiche e strategie difensive e di modalità rigide di lettura della realtà (Fig. 8).Alcuni esempi sono dati da compensazioni autoidealizzanti, dall’evitamento di situazioni che possono riattivare il dolore delle ferite, dalla ricerca continua di accettazione, dalla rabbia e dalla voglia distruttiva nei confronti di ciò che risuona come frustrazione. Tutto ciò, probabilmente, è una reazione a situazioni che vengono lette come particolarmente minacciose rispetto alla propria sopravvivenza e che attivano una profonda angoscia. Si tratta di reazioni e risposte molto articolate da parte di un sistema estremamente complesso, ma allo stesso tempo con un alto livello di fragilità. L’uomo, infatti, è caratterizzato, come specie, dal fatto di nascere come "prole inetta" e, quindi, mosso dal bisogno di relazioni significative e rassicuranti. Maggiore è l’influsso dell’inconscio dinamico, più grande sarà la disfunzionalità del sistema, in quanto sarà caratterizzato dall’attuarsi di modalità e stili d’interazione con la realtà e con se stessi, da rigidità, automatismo, conflittualità, dogmatismo, stasi, chiusura autarchica e coazione a ripetere, in ogni occasione significativa: una sorta di copione sempre uguale (Fig. 9).
Tutto ciò si concretizza in ultima analisi, nello "star male" poiché l’individuo si allontana dalla parte più sana di sé (quella che Edward Bach definiva vero sé), vittima di interferenze esterne ed autointerferenze. Diventa un sistema che si autointossica e che è particolarmente permeabile alle intossicazioni provenienti dall’esterno (osservandolo da un punto di vista omotossicologico), che si ossida e si acidifica (in un ottica biochimica), che si distorce "architettonicamente" (in un ottica di tipo strutturale e posturale), in ultima analisi un sistema che tende all’entropia (Fig. 10).
Alcuni esempi tratti dalla realtà possono risultare chiarificatori:
una paziente ha vissuto il rapporto con la madre in un "clima" implicito che l’ha portata a strutturarsi sinteticamente in questo modo: "se non sono e non faccio quello che presumoche vogliano (mia madre e gli altri) non sono amabile e quindi sono abbandonabile". La paziente si è quindi attrezzata e strutturata inconsciamente sin da piccola a far fronte a questo pericolo diventando una "Centaury" che deve fare sempre contenti gli altri altrimenti scatta il terrore dell’abbandono. Questa modalità è così rigida e pervasiva che si attua in qualsiasi situazione, al punto che la paziente fa trovare la casa pulita ed in ordine alla sua collaboratrice famigliare, per paura di essere da lei abbandonata.
• Un altro esempio è caratterizzato dalla negazione inconscia di tutto ciò che risuona come "negativo e brutto". Una donna, tipicamente "Agrimony", per far fronte al terribile clima emotivo vissuto nella famiglia di origine e alle situazioni traumatiche vissute durante la seconda guerra mondiale, si era strutturata sostanzialmente sul meccanismo della negazione e sulla fuga nella idealizzazione, creandosi un’immagine del tutto irrealistica della propria famiglia di origine, instaurando, così, anche con la figlia, un rapporto basato sulla negazione dei conflitti e sul "tutto va bene". Questa persona riteneva, così facendo, di essere stata un’ottima madre e non riusciva a spiegarsi la rabbia ed il malessere della figlia.
Un terzo esempio è relativo al fatto che possiamo precocemente infilarci una sorta di occhiali attraverso i quali dare una lettura dogmatica della realtà a partire dalla "teoria di riferimento" che ci si è costruiti. Un paziente che si è sentito non considerato dalle figure di accudimento ha strutturato una visione di sé come persona, appunto, non "considerabile". Ciò lo ha portato a leggere "narcisisticamente", sospettosamente e rabbiosamente (vedi il rimedio "Holly") come significato di non considerazione il fatto che la fidanzata fosse andata a ritirare un referto medico facendosi accompagnare da un’amica piuttosto che da lui, non riuscendo a comprendere le vere motivazioni della fidanzata, poiché obnubilato dal dolore.
Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi: ognuno di noi, a partire dalle proprie angosce, attua strategie, tattiche e letture della realtà assolutamente personali; quanto più queste sono inconsce e, quindi, assolutistiche, rigide ed automatiche, tanto più sono invalidanti e dolorose per sé e per gli altri.
AUTOCOSCIENZA: FATTORE TERAPEUTICO; RUOLO DEI FIORI DI BACH
In base a quanto finora detto, possiamo affermare che, alla base dello "star male" ci sono una serie di elementi inconsci. È ovvio che il percorso terapeutico, qualunque esso sia, ha una vera efficacia nel momento in cui fornisce al sistema una serie di informazioni che permettono di fare luce sulle zone d’ombra (Fig. 11). Riteniamo che questo sia il vero obiettivo di un buon terapeuta, nel momento in cui si impegna a seguire il paziente in un suo percorso esistenziale. Il provocare una scarica catartica, la semplice rievocazione del ricordo, nella speranza ingenuamente illuministica che ciò possa apportare cambiamento, sono vie percorse entrambe con scarso successo da Freud; il semplice fare ricorso ad un’empatia e ad un "maternage" riparativo appaiono modalità a volte utili, sicuramente insufficienti, per determinare quelle ristrutturazioni che permetteranno all’individuo di star meglio in maniera stabile e continuativa.Il percorso terapeutico deve restituire il più possibile alla coscienza del paziente le paure, le angosce, le strategie, le tattiche, le difese, i dogmi che il soggetto ha costruito su se stesso e sul mondo e che lo portano quindi ad osservare la realtà e ad interagire con essa in modo schematico, rigido ed unilaterale; occorre restituire alla luce dell’autoconsapevolezza le motivazioni per cui tutto ciò è nato e si è strutturato, le ferite cicatrizzate e quelle ancora aperte e dolenti. Gli aspetti della propria identità ritenuti inaccettabili ed inconciliabili devono essere utilmente integrati e possibilmente trasformati in nuove fonti di energia e di qualità positive. Tutto questo può avvenire, per esempio, attraverso la pratica dell’interpretazione o attraverso tecniche e metodi congeniali al paziente e derivanti dal retroterra culturale del terapeuta. Questo processo di coscientizzazione è un grande processo di liberazione, poiché non solo rende tutto ciò che era inconscio meno pervasivo, ma rende altresì possibile intravedere nuove soluzioni e prospettive esistenziali.
Questo processo rende, a sua volta, possibile non solo una liberazione da antichi blocchi e vincoli, ma anche una riattivazione di tutto quell’insieme di qualità positive ipotizzate da Roberto Assagioli come componenti essenziali dell’inconscio superiore. Tutto ciò permette in ultima analisi alla persona di riconquistare parzialmente o interamente quel territorio fertile e fecondo che Edward Bach ha chiamato "vero sé" (Fig. 12).
Questo percorso evolutivo deve attuarsi necessariamente, nell’ambito di una relazione terapeuta–paziente, regolamentato e strutturato in un setting che è il contenitore "ad hoc" per l’attivazione e la conseguente coscientizzazione delle modalità strutturali del paziente. Questo percorso di cambiamento può, ovviamente, non presentarsi agevole in quanto tutte le strutture inconsce sono delle soluzioni disfunzionali, (ma pur sempre soluzioni) che hanno dato al paziente, sia pure precariamente, un certo senso di sicurezza ed identità e gli hanno permesso di evitare "guai" ancor peggiori, di vivere anche in maniera disagevole, trovando comunque un proprio assestamento. Il paziente opporrà, quasi inevitabilmente, una sorta di resistenza al cambiamento. Avrà bisogno di tempo per creare spazio dentro di sé, per consapevolizzare, per accettarsi. Ecco, quindi, che entra in gioco la grande ed importante funzione dei Fiori di Bach, testimoniata in maniera evidente dalla "crisi di coscienza". Essi possono essere considerati come degli attivatori e dei catalizzatori del percorso di autocoscienza. Riescono ad entrare nel sistema ed a svolgere tali funzioni(addolcendo le resistenze ed attivando le qualità) attraverso delle "serrature", estremamente specifiche, ma anche facilmente identificabili, quali gli stati emozionali negativi attuali del paziente. La cosiddetta crisi di coscienza rappresenta il fenomeno più visibile di tale attività.
GESTIONE DELLA CRISI DI COSCIENZA: ESEMPI DELLA PRASSI
Analizziamo, infine, una serie di situazioni tratte dalla personale esperienza, relativa a pazienti in età adulta; tali esempi possono essere considerati come fruttuose "crisi di coscienza"; vedremo quale sia il loro percorso e la loro gestione più opportuna secondo l’Autore. Innanzi tutto premettiamo che esse si sono presentate nell’ambito di trattamenti prolungati e, spesso, anche in terapie più brevi. Il paziente, in ogni caso, è stato informato sulla possibilità di tale evenienza e ciò rappresenta, senza dubbio, il primo passo di una corretta gestione. L’informazione deve essere il più possibile completa ma, nello stesso tempo, non allarmistica. Ciò tranquillizza preventivamente il paziente e in un contesto più generale, invita all’autosservazione. Ovviamente "le crisi di coscienza" assumono connotazioni assolutamente personali: possiamo, senza dubbio, proporre alcune considerazioni generali. Spesso con l’accentuazione di stati emozionali negativi specifici o con l’accentuazione di stati che vengono genericamente riferiti come ansiosi e/o depressivi. In molti casi vengono osservati, già in questa prima fase, aumenti di ricordi onirici molto significativi in termini qualitativi e quantitativi.Queste "crisi di coscienza" in senso lato sono di conforto al terapeuta, nel senso che sono da considerarsi una sorta di controprova della corretta scelta del rimedio. Nel primo periodo appare estremamente opportuno non accelerare il percorso terapeutico e, quindi, si è, talora, dimostrato proficuo interrompere la somministrazione della diluizione ed eventualmente utilizzare rimedi nella forma "stock bottle", in particolare Rescue Remedy. Quelle che l’Autore definisce "crisi di coscienza", nel senso pieno del termine, generalmente si osservano quando la terapia è stata intrapresa da un tempo sufficientemente lungo, oppure già nelle fasi iniziali di una terapia, in individui con un buon livello di consapevolezza e/o una buona flessibilità. Si tratta, senza dubbio, di momenti cruciali, connotati da ottimi livelli di intuizione e di autoconsapevolezza, in cui si raccolgono i frutti del lavoro fatto fino a quel momento e da cui si può ripartire, per continuare il percorso e per gettare altri semi, ad un livello più alto e più profondo.
I pazienti comunicano, solitamente, "la crisi" nelle fasi iniziali dell’incontro; le comunicazioni avvengono in un clima ad alto voltaggio emotivo: ciò è percepibile, soprattutto grazie ai messaggi non verbali e paraverbali che appaiono molto significativi e che, spesso, indicano, la sofferenza, la rabbia, l’amarezza, la desolazione provati in seguito all’autoconsapevolezza acquisita, accompagnate però da un senso di sollievo per la chiarezza conquistata e per la concreta speranza che ciò rappresenta l’inizio di importanti cambiamenti.
Vediamo qualche esempio di frasi pronunciate da pazienti in occasione di comunicazione di "crisi di coscienza":
Donna di 26 anni al dodicesimo colloquio: "Agrimony mi ha massacrata questo mese; ho capito quante maschere ho portato per tutta la vita con l’obiettivo di farmi accettare e per coprire le mie emozioni. Ora riesco a sentire quanto mi sento sola, vulnerabile e quanta paura ho di essere abbandonata."
Donna di 42 anni al settimo colloquio: "Mentre ero in automobile, improvvisamente, mi è venuta in mente l’immagine di una fanciulla contenta e felice in mezzo alla natura. Ho provato per un attimo molta serenità e contentezza; poi, mi è esplosa una grande rabbia. Avevo una grande voglia di urlare. Sono arrabbiatissima con me stessa e con mio marito, forse perché ho confrontato quella fanciulla con ciò che sono stata e che sono ancora oggi."
Donna di 57 anni (estremamente credente e praticante) al sedicesimo colloquio: "Non sono mai stata una vera cristiana; il mio è stato solo un simulacro di cristianità, sono stata un "bancomat" vivente; non deve più succedere."
Donna di 42 anni all’undicesimo colloquio (sulla base di un sogno particolarmente significativo): "Sono arrabbiata con me stessa adesso che ho capito, grazie a questo sogno, che tutte le mie scelte nella mia vita sono avvenute sulla base di un senso di colpa da espiare."
Altri esempi potrebbero essere altrettanto efficaci ed è quindi il caso di fare considerazioni generali. Abbiamo già visto come questi momenti critici di "illuminazione" siano accompagnati da una notevole attività onirica e da flussi e cambiamenti emozionali notevoli. Ma ciò che si osserva è che, se il terapeuta svolge un buon lavoro per agevolare il paziente a raccogliere i frutti della crisi, il paziente comincia, nella concretezza della vita quotidiana, a svolgere azioni positive relative al rispetto e al riconoscimento di se stesso e delle proprie qualità. Ciò attiva e libera energie che hanno riverberi positivi nel lavoro e nello studio, nelle relazioni affettive e sociali in genere. Si passa, quindi, da un circolo vizioso ad un "circolo virtuoso" che porta, sia pure gradualmente e con alti e bassi, ad un sostanziale miglioramento della qualità di vita. I Rimedi floreali di Bach ci mostrano, quindi, sulla base di quanto detto, un’inequivocabile efficacia e l’intero sistema terapeutico di Bach si connota come medicina dell’autoconsapevolezza e dell’autoresponsabilità. Ciò è, d’altra parte, ben indicato dai titoli delle sue principali opere che ci risuonano come precise indicazioni ed affettuosi inviti: "Soffrite a causa di voi stessi", ma se riesci a "liberare te stesso" e quindi a"essere te stesso" alla fine "guarisci te stesso" (Fig. 13).
LETTERATURA:
1. ANGELA P. - Quark economia. Garzanti Ed., Milano, 1986.2. BACH E. - Essere se stessi. Macro Edizioni, San Martino in Sarsina (Fo),1995.
3. BACH E. - Guarire con i fiori, Ipsa Edizioni, Palermo, 1981.
4. BACH E. - Libera te stesso, Macro Edizioni, San Martino in Sarsina (FO), 1992.
5. BÀLZOLA M. A. - I fiori della mente, Bollati Boringhieri editore, Torino 1997.
6. BELLAVITE P. - Biodinamica. Basi fisiopatologiche e tracce di metodo per una Medicina integrata. Tecniche Nuove, Milano, 1998.
7. GALOPPINI A. - La dimensione coscienza. Atti del 13° Congresso nazionale di Psicosintesi "Il destino della coscienza", Bolzano, 1990.
8. GIOVETTI P. - Roberto Assagioli. La vita e l’opera del fondatore della Psicosintesi. Edizioni Mediterranee, Roma, 1995.
9. IANNELLI M. - Un setting per la Floriterapia di Bach. La Medicina Biologica, supplemento al n° 2 Aprile Giugno 1999, pagg. 39-44.
10. MAGNANO S. - Il segreto di Igea. Guida pratica al digiuno autogestito. Edizioni associazione igienista italiana-Manca, Genova, 1993.
11. MELUCCI A. - La medicina tra mito della guarigione e capacità di prendersi cura. La Medicina Biologica, n°2 Aprile –Giugno 1999, pagg.5-8.
12. MINOLLI M. - Studi di psicoterapia psicoanalitica. Edizioni Centro Diffusione Psicologia, Genova, 1993.
13. PAOLELLI E. - Floriterapia di Bach. (VHS) Guna editore, Milano, 1997.
14. PASTORINO M.L. - Introduzione ai rimedi floreali di Bach. Ipsa editore, Palermo 1989.
15. PASTORINO M.L. - La medicina di Bach: una medicina della coscienza. La Medicina Biologica, n°3 Luglio - Settembre 1997, pagg.49-53.
16. SCHEFFER M. - Metodo originale della floriterapia di Bach - Edizioni Tecniche Nuove, Milano1995.
17. SCHEFFER M. - Terapia con i Fiori di Bach. Ipsa editore, Palermo, 1990.
18. SCHEFFER M. - Uso pratico del Fiori di Bach. Edizioni Tea Pratica, Milano 1996.
19. SITZIA G. - Conoscere la Medicina Omotossicologica. Guna editore, Milano, 1996.
*IANNELLI M. – "Crisi di coscienza" in Floriterapia: aspetti teorici e gestione di una "buona occasione". Atti del 2° Congresso A.M.I.F. La Med. Biol. Suppl. al N°2, 2000, pagg.12-20.
Dr. Michele Iannelli
– Specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapeuta
– Docente A.I.O.T. e A.M.I.F.
– Membro dell'Esecutivo dell’A.M.I.F.