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Antonella Napoli
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L’interpretazione interdisciplinare della morte (Federica Meriggioli*)

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La morte è un’esperienza connotata in termini negativi, spiacevoli, e pertanto si cerca di difendersi da essa. Nella cultura contemporanea si assiste ad una rimozione attiva della morte attraverso l’allontanamento e la circoscrizione dei luoghi in cui si può morire; la designazione di figure professionali specializzate nell’industria del cordoglio e della sepoltura (Barale,1982). Inoltre, attraverso una rete consolatoria di miti e religioni, la morte e l’angoscia esistenziale, ad essa connessa, vengono mitigate nella loro intensità e trasformate nella speranza di una vita eterna.

Questo atteggiamento moderno di rimozione e fuga dalla morte sembra una peculiarità delle società sviluppate e avanzate; infatti nei secoli passati e nelle società tradizionali e rituali prevaleva una sostanziale accettazione del morire, gli uomini morivano sereni e consapevoli intrattenendo con la morte un rapporto di familiarità. Tuttavia l’idea che l’uomo primitivo, antico o medievale, fosse esente dall’angoscia di morte e dalla necessità di costruirsi una serie di formazioni reattivo-difensive contro essa appare poco credibile. In effetti, in ogni cultura e società la morte è sempre stata oggetto di regolamentazioni e prescrizioni; la necessità di contenere le emozioni suscitate da una minaccia così radicale all’interno di codici di comportamento ben definiti tende, però, ad assumere forme e manifestazioni diverse e aderenti allo spirito del tempo. Dalla primordiale fuga dal cadavere, per esempio, si è passati alla creazione di immagini mitiche, rappresentate inizialmente sotto forma di figure animalesche, poi con aspetti sempre più antropomorfici, fino alla considerazione della morte come opera di una divinità che agisce in base ad una logica. Con la nascita dei sistemi religiosi che infondevano la speranza o la certezza nell’aldilà, la morte e l’angoscia di morte sono state esorcizzate e considerate come un atto sovraindividuale e quindi legate ad un rituale da celebrare in modo simbolico e collettivo con i rituali del cordoglio e della sepoltura.

La rappresentabilità
Perciò quello che cambia è la rappresentazione della morte e la risposta dell’uomo a questo evento, in quanto “l’immagine della morte che domina nella coscienza di un uomo è strettamente legata all’immagine di sé e di uomo che prevale nella società in cui egli vive” (Elias, 1982, p. 69). La rappresentazione collettiva e individuale della morte, perciò, appare un evento anche culturale. Al giorno d’oggi la morte è stata progressivamente razionalizzata e inserita in un contesto medico e ospedaliero ordinato che le ha fatto perdere il suo carattere comunitario e l'ha trasformata in un qualcosa di privato, individuale, gestito da specialisti. Progressivamente si è affermato e si è strutturato un sistema sociale e culturale dove le persone sono immaginate e si immaginano come individui singoli; le idee collettive di immortalità, con cui nel passato l’uomo attenuava l’angoscia di morte difendendosi dalla consapevolezza della propria caducità, sono state sostituite da una tendenza a ricercare la salvezza dalla morte in forme molto oggettive e concrete. Il concetto di vita  pertanto si reifica, la vita diventa l’unico punto di riferimento e la dialettica vita-morte viene sottratta alle speculazioni religiose e filosofiche per essere trasformata in oggetto di ricerca scientifica in modo tale che l’uomo diventa creatore di se stesso.


Le vie di fuga
La salvezza, quindi, non si fonda più sull’elaborazione rituale delle esperienze “limite”, di morte, ma sul loro assoluto rifiuto. La vita diventa un dogma, un imperativo categorico intorno al quale organizzare l’esistenza, mentre la morte, ciò che delimita la vita, viene demonizzata come evento concreto e resa impensabile e indicibile come discorso. Perciò se è alquanto difficile poter considerare la morte come "un sacro trapasso, un passaggio verso un’altra forma di esistenza, essa è solo un buco nero che si apre davanti ai nostri piedi quando meno ce lo aspettiamo: l'unica scappatoia consiste nella sua negazione e nella sua rimozione" (Carotenuto, 1997, p. 66).

Accanto a questo rifiuto della morte, però, è anche necessario avere la consapevolezza sociale che per il momento l’esperienza del lutto riguarda tutti noi (Kaplan, 1995). Ecco allora che la cultura, in passato come d’altronde anche oggi, si è incaricata di codificare il processo di lutto, cioè di dare forma ad un insieme di atteggiamenti, di comportamenti e di riti adatti ad esprimere il cordoglio. Questi hanno la funzione di facilitare la manifestazione del dolore soggettivo in modi culturalmente accettati, di renderla collettiva e condivisibile e quindi anche più tollerabile e accettabile. “I rituali di lutto e i comportamenti convenzionali di chi ha subito una perdita servono a dare una parvenza di ordine e razionalità alle passioni sregolate del cordoglio… Il processo del lutto significa dare una forma convenzionale alla nostalgia, soffocare la collera della protesta, ricomporsi e asciugare le lacrime, così che chi ha subito una perdita possa riprendere la sua normale vita sociale” (Kaplan, 1995, p.8).

Il lavoro del lutto
Nonostante il rifiuto, l’esperienza della morte di una persona amata è un evento che prima o poi verrà sperimentato da ognuno di noi. La reazione a tale perdita è il lutto, il quale è tipicamente caratterizzato da uno stato d’animo doloroso, dalla perdita di interesse per il mondo esterno, dal rifiuto di ogni attività che non si ponga in relazione con il defunto (Freud, 1915a).

Quindi il lutto è la conseguenza di un evento stressante, di un trauma psicologico; non è considerato come un fenomeno patologico, ma come uno normale, anche se in realtà presenta aspetti di disagio e di turbamento della funzionalità che lo farebbero assomigliare a una malattia. A questo proposito Freud afferma che “in verità questo atteggiamento non ci appare patologico soltanto perché lo sappiamo spiegare così bene” (Freud, 1915a, p. 103). Oltre a ciò il lutto si differenzia dalla malattia in quanto non è uno stato, ma un processo. La persona che ha subito una perdita, cioè, sperimenta e manifesta un insieme di stati emozionali quali lo stordimento, lo struggimento, la depressione, che si susseguono l’uno all’altro e che possono variare in ogni singolo momento. Quindi si tratta di “una successione di quadri clinici che si fondano e si sostituiscono mutuamente” (Parkes, 1973, p. 19).

Anche Bowlby (1980) descrive il cordoglio come un processo caratterizzato da alcune fasi fondamentali attraverso le quali ognuno dovrà passare per poter superare questa crisi. Le fasi individuate da Bowlby sono quattro, ognuna caratterizzata da particolari stati emotivi:

  • stordimento: incredulità, negazione

  • ricerca e struggimento: dolore, angoscia, collera

  • disorganizzazione e disperazione: depressione, tristezza

  • riorganizzazione: accettazione, elaborazione dell’esperienza.


Attraverso questo processo che possiede delle caratteristiche peculiari, ma che si differenzia da una persona ad un’altra, sia nella durata che nella forma di ogni fase, si compie quel lavoro del lutto che permette la sua elaborazione e il suo superamento.


Bibliografia

  • Barale, F. (1982), “Lutto, funzione simbolica e atteggiamento medico verso il morente”, Archivio  di psicologia, neurologia e psichiatria, aprile- giugno,  pp. 255-265

  • Elias, N. (1969), Über die Einsamkeit der Sterbenden in unseren Tagen, tr. it.  La solitudine del morente, Bologna, Il Mulino, 1985

  • Carotenuto, A. (1997), L’eclissi dello sguardo, Milano, Bompiani

  • Kaplan, L. J. (1995),  No voice is ever wholly lost, tr. it. Voci dal silenzio: la perdita di una persona amata  e le forze psicologiche che tengono vivo il dialogo interrotto, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996

  • Freud, S. (1915a), “Trauer und Melancholie”, tr. it. “Lutto e melanconia”, Opere Complete, vol. VIII, Torino, Boringhieri, 1976

  • Parkes, C. M. (1973), Bereavement studies of grief in adult life, New York, International Universities, tr. it. Il lutto: studi sul cordoglio negli adulti, Milano, Feltrinelli, I nuovi testi, 230

  • Bowlby, J. (1980), Attachment and Loss, vol. III, London, The Hogarth Press, tr. it. Attaccamento e perdita, vol. III, Torino, Boringhieri, 1983



articolo tratto da: http://www.medicitalia.it/federicameriggioli

* Federica Meriggioli. Laureata in Psicologia clinica e di comunità presso l’Università degli Studi di Padova, iscritta all’Ordine degli Psicologi del Veneto. Specializzata presso il CeRP – Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica ed abilitata all’esercizio della professione di Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico.

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Dr.ssa Antonella Napoli, Psicologa e floriterapeuta, P.I. 001355428886 Iscrizione OPL 16607
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